Distribuzione

La famiglia è rappresentata in tutte le regioni zoogeografiche della Terra, con una maggiore concentrazione di specie nelle regioni tropicali. In Europa sono presenti oltre un centinaio di specie. In Italia è segnalata la presenza di poco più di 60 specie, anche se alcune soggette a reintroduzioni periodiche. I generi più rappresentati sono Culex, Anopheles, Ochlerotatus e Aedes, ai quali si affiancano Coquillettidia, Culiseta, Orthopodomidyia e Uranotaenia.

Importanza medico-sanitariaMappa

Mappa del rischio di contrazione della malaria:
♦ alto
♦ medio
♦ basso
♦ molto basso
♦ nessun rischio


I Culicidae sono considerati il raggruppamento sistematico di maggiore importanza, sotto l'aspetto medico-sanitario, nell'ambito della classe degli Insetti, soprattutto per l'ampia diffusione della famiglia, la stretta correlazione di alcune specie con l'Uomo e l'emergenza sanitaria, su scala planetaria, rappresentata da alcune malattie di larga diffusione i cui agenti patogeni sono trasmessi proprio da specie appartenenti a questa famiglia. Le zanzare sono tristemente associate ad aree umide di difficile antropizzazione e considerate malsane proprio in virtù della maggiore incidenza delle malattie trasmesse da questi insetti, al punto di determinare l'evoluzione, nella specie umana, di emopatie congenite quali l'anemia falciforme, le talassemia, il favismo. Queste malattie, a base ereditaria, si sono diffuse in aree interessate dalla malaria come mezzo naturale di difesa e restano diffuse con una elevata frequenza nel germoplasma della popolazione anche dopo l'eradicazione del Plasmodium falciparum, come ad esempio è successo per l'anemia mediterranea e il favismo in alcune aree del Mediterraneo. La peculiarità di queste forme di anemia congenita risiede nel fatto di presentarsi in forma grave in omozigosi recessiva e in forma lieve in eterozigosi, offrendo in quest'ultimo caso una maggiore resistenza al plasmodio della malaria. La diffusione del gene, nelle popolazioni delle aree interessate dalla malaria, rappresenta una difesa genetica che compensa il costo biologico rappresentato dalla comparsa dell'affezione grave in condizioni di omozigosi, ma nel contempo costituisce una tara genetica gravissima allorché ne viene eradicata la causa ancestrale.

La puntura delle zanzare non è di per sé particolarmente dannosa: la saliva provoca infatti un effetto rubefacente e una reazione allergica cutanea che si manifesta sotto forma di irritazione cutanea di gravità variabile secondo il grado di sensibilità dell'individuo. Nelle regioni non interessate dalle malattie trasmesse, come ad esempio l'Europa e parte del Nordamerica, l'importanza delle zanzare è limitata alla trasmissione di malattie a carico degli animali domestici (ad esempio la Dirofilariasi del cane) e alla molestia arrecata all'Uomo, ma resta sempre uno dei principali settori d'intervento, in ambito sanitario, nei rapporti tra l'Uomo e gli insetti.

Per i motivi sopra esposti, la lotta alle zanzare ha dunque rappresentato uno dei principali obiettivi della bonifica idraulica delle aree umide e rappresenta tuttora uno dei più importanti settori dell'Entomologia applicata. In generale, fra le zanzare rientrano specie responsabili della trasmissione di malattie, a carico dell'uomo o di animali domestici, i cui agenti eziologici si collocano fra i virus, fra i protozoi del genere Plasmodium e fra i nematodi della famiglia dei Filariidae (filarie). Un quadro riassuntivo delle affezioni di maggiore importanza trasmesse dai Culicidi è riportato nella seguente tabella.


Il rischio medico-sanitario associato alle zanzare e, più semplicemente, la molestia che questi insetti producono, sono alla base degli interventi finalizzati, se non a eradicarle, quanto meno a limitarne la proliferazione o gli attacchi all'uomo.

Cenni storici

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Bonifica agraria, Diclorodifeniltricloroetano e Organofosfato.

L'idrovora Bresparola situata presso Bosaro. Prima dell'esecuzione delle opere di bonifica, il Polesine era una delle regioni italiane a più alto rischio di malaria.
I più importanti interventi, applicati in passato, consistono nella bonifica idraulica, ovvero nel prosciugamento e nella regimazione delle acque delle aree umide (stagni, paludi, suoli idromorfi, ecc.). In Italia, gli interventi di bonifica idraulica si sono svolti in diverse epoche in comprensori di estensione limitata e, più estesamente sull'intero territorio nazionale, a partire dalla fine del XIX secolo fino a raggiungere la sua massima espressione nel corso del ventennio fascista, con l'applicazione del Testo Unico sulla bonifica integrale del 1933. Interventi di bonifica della stessa portata o addirittura superiore, hanno riguardato diverse regioni della Terra (es. Stati Uniti d'America, Paesi Bassi, Russia, ecc.).

Il ruolo della bonifica idraulica, propriamente detta o integrata, nella lotta contro le zanzare è quello di togliere a questi insetti ampi territori che rappresentano importanti focolai di proliferazione. L'importanza di queste opere, di grande portata, è tale che, unitamente ad altri interventi, hanno permesso non solo la colonizzazione di aree malsane e inabitabili, ma anche l'eradicazione della malaria in alcune aree del Nordamerica e del Mediterraneo. Limitatamente all'aspetto della lotta alle zanzare, la bonifica idraulica va comunque considerata come un sottoinsieme degli interventi di modifica dell'ambiente tesi a sfavorire la proliferazione dei Culicidi.


L'irrorazione del DDT in una zona umida in una foto d'epoca.
Alla bonifica idraulica subentrò, in sostituzione o come intervento integrativo o collaterale, la lotta chimica. L'impossibilità di applicare su larga scala mezzi di lotta adulticida, la lotta chimica a scopo eradicante si è orientata esclusivamente sugli interventi larvicidi. Questi interventi, a prescindere dalla loro efficacia, si sono evoluti a partire dall'impiego di composti chimici di alto impatto come i sali dell'arsenico e gli oli minerali.

Un notevole impulso alla lotta chimica ci fu tuttavia a partire dagli anni quaranta con l'avvento degli insetticidi clororganici e in particolare del DDT. A dispetto della sua triste fama, il DDT è ritenuto il principale artefice dell'eradicazione della malaria negli Stati Uniti d'America, in Italia, in Grecia e di un iniziale trend di contenimento in altre regioni, a cui seguì una recrudescenza dell'emergenza malaria a partire dagli anni sessanta. L'uso massiccio del DDT, finalizzato ad eradicare la malaria su scala planetaria, causò tuttavia l'emergenza ecologica dovuta all'accumulo nell'ambiente, aprendo un'accesa e mai sopita disputa sul rapporto beneficio-costo di questo principio attivo. A favore di questi prodotti depone la tesi della priorità dell'emergenza sanitaria di breve periodo (malaria) su quella di lungo periodo (intossicazione cronica, cancerogenesi, ecc.).

Dopo la messa al bando del DDT, la lotta chimica larvicida si basò sull'impiego di insetticidi fosforganici di relativa persistenza, tuttavia l'impatto ambientale di questi prodotti ha sempre sostenuto la disputa fra i fautori e i contrari alla lotta chimica. A sostegno delle tesi ambientaliste va detto che gli insetticidi di terza generazione, in particolare quelli ad azione neurotossica per inibizione dell'acetilcolinesterasi, hanno un alto impatto ambientale sugli ecosistemi acquatici perché attivi anche nei confronti dei vertebrati e spesso si sono resi responsabili dell'insorgenza di fenomeni di resistenza.

Punture di zanzara

Dagli anni novanta in poi l'indirizzo generale è stato quello di contenere l'impatto ambientale della lotta chimica con il ricorso a piani di controllo integrato che prevedono l'uso di tecniche più sostenibili, la bonifica dei focolai di proliferazione, il ricorso alla lotta biologica. In alcuni Paesi, come ad esempio in Francia nel 2005, si è giunti a bandire l'impiego di prodotti chimici tossici nella lotta larvicida. L'orientamento verso un controllo di tipo integrato è stato però favorito dall'acquisizione una più ampia conoscenza dell'ecologia e dell'etologia dei Culicidi, delle dinamiche degli ecosistemi acquatici e della fisiologia degli insetti. Ciò ha permesso anche l'introduzione degli insetticidi di quarta generazione, a basso impatto sui vertebrati in quanto interferiscono specificamente con la fisiologia degli artropodi o perché dotati di una minore tossicità intrinseca, e, soprattutto, con la costituzione di ceppi di Bacillus thuringiensis attivi anche sulle larve dei Nematoceri.

L'evoluzione delle tecniche di controllo contro le zanzare ha finora ridimensionato le emergenze di carattere ambientale associate alla lotta chimica, permettendo in linea di massima un contenimento dell'emergenza zanzare nelle regioni in cui il principale problema è rappresentato dalla molestia. Periodicamente il dibattito sulla lotta ai Culicidi si accende in casi, più o meno estesi, di recrudescenza della molestia causata dai culicomorfi o in occasione della comparsa di casi, più o meno isolati, relativi a patologie notoriamente trasmesse da culicidi. In Italia, ad esempio, il dibattito si riaccese in occasione della comparsa di diversi casi di chikungunya in Emilia-Romagna nel 2007, facendo tornare in auge il confronto fra emergenza sanitaria ed emergenza ambientale. Al di là dei contesti locali relativi ai paesi industrializzati, spesso amplificati dai media, il problema dei Culicidi in ambito planetario è ancora ad un livello di emergenza sanitaria, tale da motivare l'intensa attività della ricerca scientifica in questo settore dell'Entomologia applicata.

Tecniche di controllo

È opinione diffusa che la lotta efficace, nel lungo termine, sia una profilassi basata sull'eliminazione dei focolai di proliferazione, nel rispetto degli ecosistemi naturali, integrata dove è necessario dalla lotta larvicida. Sul piano applicativo, quest'ultima si sta indirizzando sempre più sul controllo biologico o integrato. La lotta adulticida su larga scala, oltre a non trovare giustificazioni scientifiche, tecniche ed economiche, si rivela di grande impatto ambientale e sanitario in quanto richiederebbe il rilascio di quantitativi ingenti di principi attivi tossici. Le linee di intervento vertono perciò su tre differenti livelli:

Interventi di tipo profilattico di modifica dell'habitat, finalizzati a contenere la proliferazione nel lungo periodo
Interventi di tipo profilattico diretti sulle larve finalizzati a contenere i focolai di proliferazione nel breve periodo
Interventi di tipo preventivo finalizzati al contenimento dell'attività delle femmine adulte.
I primi due interventi si attuano per lo più su scala più o meno larga, ma possono anche essere applicati su piccola scala purché integrati in un contesto più ampio. Gli interventi del terzo tipo si attuano invece su piccola scala in ambiti domestici o civili.

Gli interventi sull'ambiente, largamente adottati in passato, vertono principalmente sulla bonifica idraulica delle aree umide e sulla regolamentazione delle attività produttive, in particolare l'agricoltura, che possono favorire la proliferazione delle zanzare. Le problematiche relative agli interventi sull'ambiente sono diverse e spesso di difficile attuazione a causa del conflitto con altre esigenze di carattere ambientale, economico, strutturale:

la bonifica idraulica, se da un lato ha permesso l'espansione antropica in aree inabitabili, oggi è incompatibile, in diverse regioni, con l'obiettivo di tutela delle aree umide che, a causa del loro drastico ridimensionamento, rientrano spesso fra le aree di interesse naturalistico e soggette a regimi di protezione;
la regolamentazione di alcune attività produttive, come ad esempio la coltivazione del riso con la tecnica tradizionale della sommersione, se da un lato è oggi tecnicamente applicabile, da un altro trova difficoltà strutturali di applicazione in quanto richiede drastiche trasformazioni sia nella tecnica sia nel know-how degli operatori;
gli interventi su larga scala non risolvono il problema dell'esistenza capillare di microambienti in cui le zanzare possono comunque riprodursi (pozze d'acqua temporanee, discariche abusive, giardini, coltivazioni, ecc.). Alcune specie, anzi, come è successo per la comune Culex pipiens, si sono adattate all'urbanizzazione ed hanno fondamentalmente spostato i loro siti di proliferazione dalle aree umide naturali ai microambienti acquatici creati dall'antropizzazione. Queste specie hanno peraltro tratto vantaggio dall'eutrofizzazione delle acque superficiali, più povere di ossigeno e più ricche di sostanza organica.
Oggi questi interventi possono essere concepiti nell'ambito di un programma di sensibilizzazione generale che spinga le persone a prevenire la formazione dei piccoli focolai rimuovendo le cause che possono creare condizioni per la formazione di temporanei microambienti acquatici, spesso denominati habitat containers e assimilabili ai fitotelmi e agli habitat igropetrici.

Gli interventi diretti sulle larve, applicati da decenni, si basano sull'ampia disponibilità di principi attivi impiegabili, almeno a livello teorico, nella lotta chimica: clororganici (DDT, aldrin, ecc.), fosforganici (fenthion, temephos, clorpyrifos, malation, fenitrotion, ecc.), carbammati (propoxur, carbaryl, ecc.), piretroidi di sintesi (deltametrina, cipermetrina, ecc.). A questi si aggiungono, oggi, gli insetticidi di quarta generazione, che rientrano per lo più fra i cosiddetti regolatori dello sviluppo o IGR (Insecticides Growth Regulators) e, in particolare, alla categoria dei chitinoinibitori (diflubenzuron, flufenoxuron, ecc.). Questi ultimi interferiscono con il chimismo dell'ecdisone e, impedendo la biosintesi della chitina bloccano la muta arrestando lo sviluppo delle larve. Rispetto agli insetticidi di vecchia generazione presentano il vantaggio di non interferire con la fisiologia dei vertebrati e di avere perciò una tossicità virtualmente nulla nei loro confronti. Alla lotta larvicida eseguita con insetticidi di sintesi si può assimilare, per le analogie di intervento, quella eseguita con bioinsetticidi, attualmente largamente in uso con il ricorso al ceppo israelensis del Bacillus thuringiensis. I bioinsetticidi offrono il vantaggio di avere un impatto nullo sui vertebrati e, quindi, un basso impatto ambientale. Le problematiche associate al ricorso alla lotta larvicida sono le seguenti:

accumulo nell'ambiente dei principi attivi persistenti, con particolare riferimento ai clororganici, che tendono ad accumularsi ai vertici delle piramidi alimentari;
insorgenza di fenomeni di resistenza, riscontrati in particolare fra i clororganici e fra i fosforganici, ma anche in alcuni azotorganici;
impossibilità di impiego dei principi non selettivi in acque popolate dai vertebrati a causa dell'impatto distruttivo sulla rete alimentare.
In generale, all'uso di principi attivi chimici a largo spettro di azione, se non del tutto banditi si preferisce attualmente ricorrere a prodotti a basso impatto, che rientrano nella categoria dei regolatori di crescita, o al Bacillus thuringiensis. A parte il già citato problema dell'insorgenza della resistenza, i potenziali problemi relativi all'uso di questi insetticidi risiedono nella possibilità di interferire con la dinamica di popolazione dell'artropodofauna utile. Va comunque detto che il B. thuringiensis ha finora dato buoni risultati sia per l'assenza di casi di resistenza sia per la discretta selettività.

Gli interventi contro gli adulti hanno soprattutto un effetto di contenimento in ambito contestuale e ristretto. Tali interventi, applicabili solo su piccola scala, possono essere così classificati:

interventi di tipo fisico-meccanico: sono tali l'installazione di dispositivi che impediscono l'ingresso delle femmine negli ambienti chiusi (zanzariere) o che ne disturbino l'attività (ventilatori, emanatori di ultrasuoni) oppure l'uso di indumenti che interferiscono con la percezione (colori chiari o zanzariere elettriche con lamada attinica o doppia lampada wood/bianza);
uso di repellenti: sono tali quelle sostanze che interferiscono con gli stimoli olfattivi o ne annullano l'effetto provocando l'allontanamento delle femmine dalle potenziali vittime (es. Dietiltoluamide, estratti di citronella, Nepetalactone, Picaridina, ecc.)
trattamenti chimici adulticidi: consistono nel rilascio nell'aria, tramite aerosol (spray insetticidi ad uso domestico), fumigazione (zampironi), evaporazione (erogatori a piastrine), oppure nel trattamento di superfici, tramite irrorazione nebulizzata, di insetticidi che sono attivi nei confronti degli adulti volanti. La loro azione si esercita sulle femmine durante il volo o quando si posano sulle superfici. Il contesto specifico (uso in ambienti domestici e civili, chiusi, in presenza di persone e animali, intervento sul problema in atto) fa sì che questi prodotti rispondano a specifici requisiti: da un lato devono avere una bassissima tossicità nei confronti dell'uomo e degli animali domestici e da un altro devono avere un elevato potere abbattente, ovvero devono avere un effetto insetticida istantaneo. In generale, i prodotti che rispondono a questi requisiti rientrano nella categoria dei piretroidi ai quali è aggiunto spesso il piperonil butossido per la sua azione sinergizzante.
In generale, gli interventi contro gli adulti si rivelano i meno efficaci e i più difficili da attuare e rappresentano per lo più palliativi adatti a proteggere le persone in ambienti chiusi e limitati. In merito all'uso di insetticidi, va detto peraltro che nonostante la bassa tossicità e l'impiego su scala ridotta, il ricorso a questi mezzi in ambito urbano è larghissimo, ponendo comunque il problema del rilascio di grandi quantità di principi attivi a largo spettro d'azione, poco selettivi e potenzialmente pericolosi per il rischio di intossicazione cronica. Ancora oggi, probabilmente, in Italia la lotta contro le zanzare è prevalentemente affidata agli interventi contro gli adulti.

Negli ultimi anni sono stati portati avanti degli studi per la modificazione genetica delle zanzare, per ultimo, quelli di modificarle in modo da produrre spermatozoi in grado di generare soltanto maschi, cosa che potrebbe rivelarsi utile nella lotta contro la malaria.

Lotta biologica

Gambusia affinis, impiegata da quasi un secolo nella lotta biologica.
Il controllo biologico delle zanzare, a differenza di altre tecniche, mostra una buona compatibilità con altre esigenze e nel lungo periodo è una strategia che già in altri settori dell'Entomologia applicata ha prodotto ottimi risultati anche se spesso, in passato, è stata sopravvalutata. Le applicazioni di lotta biologica sono in studio da lungo tempo, basti pensare che in Italia l'introduzione della Gambusia affinis, di origine neotropicale, risale agli anni venti e la specie è attualmente naturalizzata in buona parte del territorio nazionale. Fino agli anni ottanta sono state identificate oltre 500 specie di organismi antagonisti nei confronti delle zanzare e circa 60 organismi diversi sono oggetto di sperimentazione o di applicazione in questo ambito.

In natura sono particolarmente attivi nei confronti delle larve delle zanzare gli Artropodi predatori e i Pesci. Fra i primi si annovera un numero elevato di specie, molte delle quali rientrano fra gli Odonati (libellule), i Rincoti Eterotteri (cimici acquatiche e acquaiole), i Coleotteri Adefagi e, infine, gli stessi Ditteri. Fra i secondi, forse i più interessanti sotto l'aspetto applicativo, si annoverano potenzialmente tutte le specie che si alimentano a spese dello zooplancton.

Nei confronti degli adulti sono invece attivi, oltre ad alcuni artropodi, gli Anfibi, gli uccelli insettivori e i pipistrelli. L'attività di questi ultimi, crepuscolare e notturna, è notevole: un solo individuo può infatti divorare oltre 500 zanzare nell'arco di una sola notte.


Larva di Toxorhynchites speciosus, un possibile ausiliario nella lotta biologica.
Sotto l'aspetto applicativo è in fase di sperimentazione o operativa l'utilizzo di circa 60 diversi organismi, in gran parte attivi contro gli stadi giovanili[3]. Gli ambiti di applicazione o di sperimentazione sono vari, secondo i casi, e comprendono gli ecosistemi naturali, le risaie, i canali di irrigazione, i bacini artificiali, i cavi degli alberi, mentre in alcuni casi la sperimentazione è attuata in laboratorio. Le categorie in studio o in applicazione sono le seguenti:

Pesci. Sono oggetto di interesse oltre venti taxa fra specie o generi. Fra quelli oggetto di applicazione in fase operativa si citano in particolare Aphanius dispar, Poecilia reticulata e i generi Gambusia, Fundulus e Panchax. A questi si aggiungono gli erbivori Ctenopharyngodon idellus e Tilapia spp., impiegati come bioerbicidi nelle risaie e nei canali e che svolgono un'azione di antagonismo indiretto: questi erbivori sono attivi anche nei confronti delle alghe, perciò riducendo il grado di eutrofizzazione delle acque creano condizioni più sfavorevoli alla proliferazione delle zanzare. All'uso dei pesci, spesso di notevole efficacia, sono associate problematiche di carattere ecologico in riferimento all'introduzione di specie esotiche in ecosistemi naturali, a causa delle ripercussioni sulla dinamica della biocenosi acquatica.

Funghi entomopatogeni. Di impiego operativo, come bioinsetticida negli USA, è il Lagenidium giganteum, che si è rivelato di notevole efficacia, ma nella categoria sono interessate le specie di altri cinque generi, fra cui anche la Beauveria bassiana, l'unico attivo anche contro gli adulti.
Batteri. Oltre al già citato B. thuringiensis var. israelensis, ha impiego operativo anche il Bacillus sphaericus, che però non è attivo contro gli Aedes.
Nematodi. A livello operativo è nota la specie Romanonermis culixivorax e in ambito sperimentale altre specie di Mermithidae. In particolare, la specie Octyomyomermis troglodytis potrebbe essere impiegata anche come adulticida nelle cavità naturali.
Fra gli altri organismi antagonisti interessati dalla sperimentazione rientrano alcuni virus, diversi generi di protozoi, alcune specie di idrozoi e di insetti (i culicidi del genere Toxorhynchites e l'eterottero acquatico Notonecta undulata. Un cenno particolare va fatto per i virus e i protozoi: diverse forme entomopatogene possono anche trasferirisi sull'uomo, perciò l'ambito di applicazione si restringe ai soli entomopatogeni specifici.

La situazione in Italia

In Italia l'emergenza sanitaria delle zanzare è fondamentalmente limitata alla diffusione della Dirofilariasi canina, che ha carattere epidemico nella Pianura Padana, mentre, in generale il problema riguarda la molestia. Spesso le amministrazioni locali sono oggetto di contestazione, da parte dell'opinione pubblica, per l'adozione di misure insufficienti o tecnicamente discutibili e si ritiene che nel territorio nazionale la lotta alle zanzare sia affidata prevalentemente ai palliativi contro gli adulti, con eccessivo impiego di principi attivi tossici.

Un caso particolare riguarda il problema delle risaie. Il regime di irrigazione per sommersione, da un lato crea le condizioni favorevoli per la proliferazione delle zanzare, da un altro, con l'alternanza delle fasi di asciutta, necessaria per l'esecuzione di alcune operazioni colturali, crea le condizioni sfavorevoli per l'insediamento di una fauna antagonista. Fra le proposte è in studio una regolamentazione della risicoltura volta a penalizzare le aziende che ricorrono alle tecniche tradizionali o a trasferire su queste una parte degli oneri finanziari relativi alla lotta contro le zanzare. Regolamentazioni di questo tipo sono tuttavia di non facile impostazione in quanto le tecniche alternative (come ad esempio l'irrigazione per aspersione), adottate soprattutto a livello sperimentale, sono associate ad un certo grado di aleatorietà del processo produttivo e comportano maggiori investimenti economici. In alcuni comprensori, le amministrazioni hanno attivato piani integrati per contenere il problema delle zanzare nelle aree risicole. Il più significativo messo in atto in Italia è quello diretto dal centro operativo di Casale Monferrato: ogni anno vengono monitorati e trattati quasi 100.000 ettari di territorio, di cui 23.000 investiti a risaia. Il piano di lotta impiega 7 elicotteri, 8 squadre da terra, oltre 50 tecnici di campo e migliaia di litri di prodotti insetticidi, principalmente a base di B. thuringiensis var. israelensis.

Fra le iniziative adottate dagli enti locali si citano quelle dei comuni di Rimini, Treviso, Fiesole e della Provincia di Novara.

Dall'estate del 2006, Rimini e Treviso hanno avviato la sperimentazione del Mosquito Stopper un dispositivo posto in commercio che impedisce alle zanzare adulte di usare il sistema fognario per deporre le proprie larve sottraendo così agli insetti luoghi adatti alla proliferazione. Il dispositivo consiste in una zanzariera basculante da applicare alle comuni caditoie del sistema fognario che permette il deflusso dell'acqua e dei detriti; inoltre è dotato di un sistema di sblocco che permette il rigurgito della rete fognaria non modificando quindi il normale funzionamento della rete stessa. Rispetto ad altre tecniche, questa ha il vantaggio di essere applicata una tantum.

Sempre nel 2006, Fiesole ha avviato una sperimentazione contro gli adulti favorendo l'insediamento dei pipistrelli tramite l'uso di bat-box, ovvero batterie di rifugi appese alle grondaie dei cittadini che aderiscono.

Nel 2005, la Provincia di Novara ha sperimentato una soluzione tecnica per la risicoltura: in luogo del prosciugamento completo per la mandata in asciutta del riso, si è ricorso al prosciugamento parziale, lasciando solchi sommersi per consentire il rifugio della fauna antagonista. La sperimentazione ha prodotto risultati interessanti in quanto il monitoraggio nelle aziende che hanno aderito ha rilevato una riduzione media del 44% della popolazione di larve. Nei solchi si è rilevata addirittura una diminuzione del 77% mettendo in evidenza il ruolo importante degli antagonisti naturali.

Fonte Wikipedia

Zanzare in Italia

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